Alla voce perdono il mio dizionario preferito, quello etimologico, parla chiaro: donare completamente (per è una particella rafforzativa, in questo caso del secondo vocabolo donare). Sento scricchiolarmi dentro tutta la mia formazione catechistica e una miriade di frasi imparate a memoria, ma con la chiara impressione che nemmeno chi le insegnava le comprendesse veramente. Frasi morte. Bisogna perdonare. Eppure, inizia a farsi strada in me la meraviglia per questa parola. Secoli di morale artefatta si staccano dal mio corpo gradualmente, come una pelle vecchia. Si scalda la sensazione di una parola preziosa, estremamente utile. Perdonare è: donare completamente. Ok, ma donare completamente cosa e a chi, per la miseriaccia?! Riflettiamo. Ho bisogno di perdonare quando, di fatto, sono incazzato con qualcuno.

Questo mi sembra un buon punto di partenza, perlomeno sincero. E allora cosa posso donare a qualcuno con cui sono un pò, molto o moltissimo incazzato? Posso perdonare ed essere ancora incazzato? Beh, no, ça va sans dire. Posso perdonare qualcuno che non mi ha fatto un torto? No, aridaje. E allora? Confesso che inizio ad aver bisogno di perdonare chi, questo articolo, mi ha chiesto di scriverlo. Ma i giorni passano e lo spazio che la parola perdono si prende dentro di me continua ad aumentare. E, finalmente, la nebbia dipana.

Perdono è la capacità di essere libero dai propri giudizi e pregiudizi. L’atto di perdonare è un dono a se stessi, che passa attraverso un altro individuo. Perdono è la nostra capacità di vedere la causa della mia incazzatura e sofferenza, che è generalmente un altro essere umano, per quello che è realmente e non per quello che io vedo dal cantuccio della mia personalità (dal latino persona = maschera). E l’altro è, in realtà, nè più nè meno che il risultato di tutti i suoi disperati tentativi di fare il meglio di sè. Anche un criminale violento fa il meglio di sè, nonstante il suo di risultato, per dirla con un eufemismo, lasci moltissimo margine di miglioramento. Ma la vita di oggi non è sostituibile, nè modificabile. Non c’è uno sliding door. Certo, questo non sposta di un centimetro le responsabilità per le proprie azioni. Il mio non è un discorso buonista. Se infrangi una legge o una regola, danneggiando il corpo o la psiche di altri, c’è una pena commisurata da scontare. E’ un discorso possibilista: esiste la possibilità che tu riesca a vedere la realtà per quello che è, valutando azioni e responsabilità, senza per questo avvertire quella stessa realtà come qualcosa fatto contro di te? Come un torto della vita a te? E se ognuno facesse davvero il proprio meglio, anche se quel meglio fa schifo? Se Giovanna mi fa incazzare, se Giovanna è cattiva con me, io sono corresponsabile del trattamento che subisco, proprio per il fatto che mi manca la capacità di non subirlo. Io faccio del mio meglio, ma non riesco a non subire Giovanna. E’ una mia responsabilità e ne pago le conseguenze, ma non lo faccio coscientemente per soffrire. Lo faccio, perchè non riesco a fare altro. Lo scelgo, senza volerlo.

Osservo e realizzo la mia corresponsabilità in ciò che mi accade, anche e soprattutto, se è qualcosa che non mi piace per niente.Già solo grazie a questo sforzo di vedere la realtà per quello che è, un gioco di reazioni a catena delle nostre ed altrui maschere, io acquisisco il potere di liberarmi gradualmente, ma inesorabilmente, dalla meccanicità psico-emotiva che mi intrappola. Mi trasformo attraverso la conoscenza di ciò che sono, dico, penso, faccio, voglio e non voglio. Anche Giovanna vive così, aggrappata alla vita, disperatamente in ricerca di felicità; di un amore immenso. Scusate, magari sono stato pesante e prolisso, porca miseriaccia. Ma voglio vedermi per quello che sono oggi e innamorarmi di me ancora una volta, magari per più tempo, prima che mi perda ancora. Voglio amarmi e vedere che l’altra persona al mio fianco fa del suo meglio, anche se io soffro o mi incazzo, anche atrocemente, per quello che è il risultato del suo sforzo. Anche se lo fai a me, non lo fai contro di me. Io ti perdono.

Un abbraccio etimologico

Matteo